San Vito Romano - Guida Turistica

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Chiesa di San Biagio Martire
 L’epoca di fondazione della chiesa sanvitese di San Biagio viene fatta risalire alla fine dei 1200 sul luogo di un più antico Oratorio “gestito da due Compagnie: del SS. Sacramento e del Rosario”. Andata presto in rovina, fu restaurata nel 1400 a quindi ricostruita “ex novo” tra il 1607 ed il 1609 per espressa volontà dei Theodoli, signori di San Vito. Gli storici locali attestano che il progetto venne disegnato dall’allora marchese Theodoli, ma non sono concordi nel tramandare il nome: Alfonso o Giovanni. Nuovi lavori, particolarmente all’interno dell’edificio, si svolsero intorno agli anni Trenta dell’ottocento, quando furono aggiunte alla navata unica con altari laterali entro nicchie due cappelle all’altezza del presbiterio in modo da creare una specie di transetto. Un restauro più radicale è stato condotto infine negli anni 1927-1929 a cura del parroco Augusto Zazza, come testimoniano due iscrizioni su una parete della cappella sinistra e sul pavimento. In questa occasione il pittore Antonelli esegui vari dipinti nella zona presbiteriale e si occupò anche di ritoccare i frammenti pittorici, per lo più immagini di Santi, risalenti al periodo della costruzione della chiesa, delle cappelle e dell’altare maggiore, risalenti agli inizi del XVII secolo. La decorazione del primo altare a destra, dedicato ai Santi Gioacchino e Ambrogio vescovo, conserva più degli altri la sua fisionomia originaria con la grande tela della metà del Seicento e i numerosi riquadri di santi in stucco bianco e dorato. Il secondo altare fu eretto e ornato da “Giovanni Trinchieri nel 1021”, pochi anni dopo la costruzione della chiesa. Come gli altri altari anche questo è stato completamente ridipinto una prima volta alla metà del secolo scorso e una seconda tra gli anni 1927-1929. Nel giro interno dell’arcata, attesta il Rocca, erano dipinte “varie immagini di santi, ricoperte poi in bianco, per evitare le spese del restauro”. Sulla parete destra della navata, in coincidenza con l’inizio della zona presbiteriale, è situata insieme a quella speculare dedicata alla Madonna del Rosario, la cappella di S. Giuseppe. Entrambe furono sistemate o adornate di affreschi negli anni 1927-29 dal pittore Antonelli incaricato di decorare i pennacchi e gli spicchi della volta, la pala d’altare con il ritratto di San Giuseppe della cappella omonima, le storie della Vergine sulla cupola e il riquadro con la Madonna del Rosario. I due altari laterali di sinistra, il primo dedicato a Sant'Andrea ed il secondo ai Santi Pietro e Paolo, hanno subito nel tempo le medesime vicende decorative di quali di destra: una prima ornamentazione agli inizi dei XVII secolo e un radicale restauro negli anni 1927-1929, quando l'Antonelli realizzò i dipinti sopra gli altari.
Chiesa dei Santi Sebastiano e Rocco
Chiesa di San Vito Martire
 L’unico ordine della facciata è scandito da gruppi di lesene laterali culminanti in una modanatura a rilievo molto lineare. Il portale è sormontato da un finestrone ovale, mentre il coronamento a timpano curvilineo e spezzato presenta ai centro un elemento decorativo a conchiglia.
 L’interno, a unica navata, presenta due cappelle laterali dedicate a S. Lorenzo (sinistra) e a S. Anna (destra). Sulle due porte laterali in prossimità del presbiterio sono stato poste due grandi tele con episodi della vita di S. Vito, mentre la tribuna quadrata ha una imponente decorazione d’altare in stucco che inquadra la nicchia con la statua del Santo.
 L’edificio fu compiuto quindi nel 1735 su progetto dell’architetto marchese Gerolamo Theodoli, proprietario del feudo di San Vito e con l’intento di collegare il colle all’abitato in funzione di una progressiva espansione edilizia. Esso sorge verosimilmemte in luogo di una chiesa più antica, forse poco più che una cappella, fondata probabilmente dagli stessi Padri Benedettini che cambiarono il nome dal paese da Vitellia a San Vito. La lapide posta in Sacrestia ricorda come il vecchio tempio vetustate collapsum fu ricostruito dalle fondamenta sulla sommità del colle con progetto e denari del marchese Theodoli e con aiuto del popolo e dedicato nel 1735. A quell’epoca risale ancora la struttura attuale del tempio, la complessa decorazione d’altare, la parte centrale del soffitto, con la tela ottagona della Gloria del Santo e la tela posta sull’altare di S. Lorenzo. Ottocentesche sono le altre decorazioni del soffitto e i dipinti dei due medaglioni laterali, come pure le tele poste sugli altari, mentre i dipinti delle pareti della cappelle e le due grandi tele poste alla fine della navata risalgono all’ultimo intervento operato nella chiesa intorno al 1945. Anche la cromia originaria dell'interno, sicuramente monocroma, e stata alterata; gli stipiti della porta d’accesso appaiono inoltre non originali. Una attenta disamina dell’edificio, considerato la prima prova completa dell'architetto Theodoli, è stata fatta da M. Spesso nella sua monografia sull'architetto
Chiesa di Santa Maria de Arce
 La facciata si presenta a unico ordine scandito da paraste angolari e poste ai lati del portale, queste più sporgenti. Sul portale è inserito un timpano curvilineo con al centro lo stemma Theodoli. Il coronamento, anch’esso a timpano curvilineo, presenta incassata Una sagoma mistilinea con volute angolari. Il campanile quadrato è a tre piani, con terminazione a cupolino. L’interno, a tre navate, coperte a volta, presenta un’abside semicircolare con catino, tre altari per navata e una grande cappella che si apre sulla destra.
Santuario della Madonna di Compigliano
 La facciata dell’edificio si presenta assai semplice: una modanatura a rilievo incornicia lo specchio quadrangolare a mattoni nel quale si apre la porta d’accesso, sormontata da un finestrone ovale e ai cui lati sono disposte due finestrelle circolari. La porta è sovrastata da un fastigio a mensole e volute che inquadra il cartiglio con l’iscrizione relativa all’ultimo intervento di restauro dell'edificio. Il coronamento è a timpano curvilineo e spezzato, anch’esso sottolineato da modanature in rilievo; la parte centrale reca il monogramma mariano e un elemento decorativo a conchiglia.
 L’interno, a tre navate, è coperto a botte e presenta un’abside a terminazione rettilinea e copertura a cupola; molto articolata è l’incorniciatura d’altare con colonne ioniche, architrave e fastigio con volute. Gli altari laterali sono quattro per parte; elaborata è la decorazione pittorica.
Castello Theodoli
 La costruzione presenta una curiosa struttura a nave, sottolineata dall’alta scarpata che la circonda e che si insinua come una prua verso il corso Mario Theodoli. In questa direzione si affaccia la loggia ad archi, mentre l’ingresso principale è collocato nella parte retrostante, che si affaccia sulla piazza della chiesa di S. Maria de Arce.
 Si tratta di una struttura complessa, risultato dell’addizione di una serie di corpi di fabbrica via via aggregatisi. Un primo nucleo del Castello di San Vito fu costruito quando, dopo l’invasione dei Saraceni del IX secolo e il saccheggio di Verugine e Vitellia, popolosi centri abitati nelle pianure, gli abitanti di questi si rifugiarono sopra una alta roccia; un grande "scoglio" isolato, "aperto in vari punti da numerose spelonche, sovrastate da un piccolo ripiano su cui oggi domina la chiesa del Patrono”. Su questo scoglio, isolato, imprendibile a causa delle numerose caverne che vi si aprivano, cominciò la ricostruzione di Vitellia e l’edificazione della Rocca, poi progressivamente ampliata. Ai piedi del fortilizio venne costruita la porta del Borgo, che difendeva la cittadina dal lato occidentale.
 All'influenza dei Monaci Benedettini di Subiaco si deve poi il mutamento del nome, da Vitellia a San Vito, avvenuto dopo che il feudo fu acquistato dall’Abate Giovanni nel 1091 andando a costituire la “Massa Jubenzana”. Non potendo il Monastero di Subiaco provvedere alla difesa del feudo di San Vito in epoca di continue guerre e predazioni, la popolazione verso la fine del XII secolo si rivolse ai principi Colonna di Genazzano, che divennero quindi signori di San Vito e ne garantirono la protezione delle armi. Stessa sorte toccò alle popolazioni di Ciciliano e Pisoniano.
 Con alterne vicende San Vito rimase in mano alla nobile famiglia romana fino al 1563, quando fu venduto ai principi Massimo, che e loro volta lo cedettero ai marchesi Theodoli dieci anni dopo. L'ampliamento della Rocca, già presente sulla spianata in cima al cosiddetto "scoglio” iniziò quindi già dalla fine del Duecento. La tradizione vuole che nel castello di San Vito nacque nel 1365 Oddone Colonna che divenne papa nel 1417 con il nome di Martino V; la stanza in cui vide le luce fu convertito nel XVIII secolo in cappella domestica da Gerolamo Theodoli.